mercoledì 23 febbraio 2011

Infatuation - Eireen

Infatuation
Cap.1 pt.2

Mi svegliai il mattino dopo con un delizioso odore di biscotti appena sfornati, e di caffè appena fatto che aleggiava per la casa. Mi sedetti sulla sponda del letto e mi stiracchiai inalando a fondo quel misto di odori casalinghi fusi con la brezza marina del Pacifico. Mi infilai le scarpe e scesi per la colazione. In cucina trovai la nonna attorno ai fornelli attiva e arzilla come al solito. Sentendo il rumore dei miei passi si voltò e mi rivolse uno dei suoi sorrisi dolci, ma che ad una secconda occhiata scomparve.-Ma tesoro! Non avrai mica dormito coi vestiti?-.
La guardai imbarazzata – Si, è che ero troppo stanca per disfare le valigie ieri sera. Lo faccio dopo colazione.-
Ci sedemmo e cominciammo a mangiare.”Più tardi devo chiamare Josh per dirgli che sono arrivata e che sto bene” pensai… ma più tardi per me era troppo, avrei voluto chiamarlo subito. Non tanto perché ne sentissi la mancanza, in fondo l’avevo visto il giorno prima. No, il motivo per cui sentivo il bisogno di sentire la sua voce era la semplice paura della distanza che era venuta a crearsi tra noi, semplice distanza fisica. Quello che mi rendeva nervosa più di qualunque altra cosa era l’idea di non avere Josh a portata di mano. Prima se lo chiamavo lui correva subito da me, abitavamo vicini, a meno di un isolato di distanza, ma ora, se lo avessi chiamato non avrebbe potuto far altro che tentare di consolarmi con nient’altro che la sua voce. D’improvviso mi resi conto che la cosa che più mi mancava di Josh era la sicurezza che mi dava la vicinanza del suo corpo. La sensazione di sicurezza che mi dava quando mi teneva un braccio intorno alla vita, quando lo faceva scivolare lungo il mio corpo…
- Daisy? Ieri sera mi sono dimenticata di dirti che oggi devi andare a trovare il signor Morris per il
lavoro, sai per prendere gli accordi di quali sere andare a lavorare quali tenerti libere. Ha detto che   puoi andare là all’ora che preferisci.-
-Certo magari ci faccio un salto oggi pomeriggio.-
-Cosa vuoi fare oggi?-mi chiese mentre bagnava un biscotto nel caffe.
-Non saprei. Però penso di cominciare col farmi una doccia, e proseguire col sistemare le mie cose in camera.-. Posai la mia tazza nel lavandino e mi avviai in camera per prendere shampoo e bagnoschiuma.
Adoravo il bagno della nonna era enorme, con le piastrelle blu e io adoravo il blu. Entrando avevi la sensazione di immergerti nel mare che c’era a pochi metri da lì. Era un bagno luminoso, adorno di una grande finestra che si affacciava sul pacifico. La vista naturalmente era mozzafiato.
Cominciai a riempire la vasca con acqua calda e mi raccolsi i capelli.
Spogliandomi notai il grande specchio che era appeso dietro la porta. Quante volte mi ci ero rimirata da piccola? Guardai il mio riflesso e cercai di far coincidere l’immagine di adesso con quella di sette anni fa. Lo specchio mi mostrò una ragazza non troppo alta sul metro e sessanta con una pelle chiarissima non adatta a quel clima ne a quel posto. Capelli rosso scuro in netto contrasto con la carnagione pallida. Per non parlare degli occhi, azzurri, ma un azzurro chiarissimo quasi bianco. Grazie a queste caratteristiche potevo soffrire il sole e il caldo molto meno degli altri.
O meglio, odiavo il caldo e il sole. Amavo la pioggia e il vento e temperature da pinguini.
Mi immersi nella vasca da bagno e sentii i muscoli sciogliersi grazie al calore dell’acqua.
Decisi di concedermi qualche minuto per pensare. Avevo una settimana libera prima di cominciare a lavorare al bar. Dovevo organizzarmi la settimana per non avere troppi buchi avrei diviso il tempo tra la nonna, Gale e Josie un’amica che conoscevo dall’epoca della mia prima vacanza qui. Il nostro rapporto era piuttosto strano. Durante i tre mesi che trascorrevo in California eravamo inseparabili, ma come ripartivo per Detroit non ci sentivamo più finché non fossi tornata l’estate successiva per la prossima vacanza. Niente telefonate, niente lettere o messaggi… niente. Eppure ogni volta che ci ritrovavamo era come se non fosse mai passato neanche un giorno di separazione.
Con Gale invece era tutta un’altra storia; io e lui ci sentivamo almeno una volta a settimana. Il nostro legame era molto forte, eravamo più fratelli che cugini.
Ripensai a Gas e mi si contorsero le viscere. Forse avrei fatto meglio a mettermi a fare qualcosa di costruttivo per tenere la mente occupata come disfare le valigie. Uscii dalla vasca tolsi il tappo mi asciugai e vestii. Ricontrollai l’immagine allo specchio. Indossavo un prendisole, una minigonna e un paio di infradito. Niente di che come abbigliamento, ma nel complesso non ero male.
Mi avviai verso la mia stanza  presi il cellulare e chiamai Gale che rispose al secondo squillo
-Hola!-. Il solito pagliaccio.
-Ciao Gale sono Daisy!-.
-Cugina! Quale onore-.
-Lavori oggi pomeriggio?-. “Di di no, di di no”. Pregai fra me e me.
-Fino alle tre e mezzo perché?-
-Grandioso! Devo andare all'Arnold a parlare col signor Morris per il lavoro,vieni con me?-. Il proprietario precedente era un appasionato di Happy days, e quando a passato la gestione al figlio quest'ultimo non ha voluto cambiare niente.
-Ma certo! In effetti adesso che ci penso, è un bel po’ che non ci vado. Va bene alle quattro?-
-Ma certo! Gale?…-. esitai.
-Si?-.
-Grazie-. Gli ero molto riconoscente per il fatto che sapesse trovare tanto tempo da passare con me.
Indipendentemente dall’ora o il giorno che lo chiamavo lui per me era sempre libero.
-Lo sai ti voglio bene. Farei qualunque cosa per te. Dici che è per via del legame di sangue?-.
Ridendo riattaccai facendo scattare lo sportellino del telefono.
-Bene- mi dissi a voce alta -ora occupiamoci della stanza.
Posai la valigia sul letto e iniziai a svuotarla guardai scoraggiata l'armadio dipinto di un orsa pallido con sopra attaccati gli adesivi dei miei cartoni preferiti di quado ero piccola e in quel momento desiderai fortemente che l'armadio fosse di un normalissimo bianco, o perlomeno che non ci fossero gli adesivi delle principesse Disney per quanto in segreto le adorassi ancora in fondo erano le mie eroine Pocahontas in particolare, mi ero addirittura travestita da lei una volta per halloween...quando finii di sistemare i vestiti nell'armadiorichiusi le ante e rimasi stupita.
Tutti gli adesivi che ci avevo appiccicato da bambina erano spariti. Eppure avrei giurato che fino ad un'attimo prima erano lì, ma forse me li ero solo immaginati infondo ero talmente abituata a vederli lì che l'abitudine me li aveva fatti vedere anche se non c'erano...probabilmente li aveva tolti la nonna prima del mio arrivo.
Quando finalmente finii di mettere a posto le mie cose il che vale a dire alle dieci e mezza decisi di chiamare Josh, e nonostante l'ora lo svegliai.
-Pronto?- la voce profonda all’altro capo del telefono era impastata dal sonno e irritata per il
risveglio.
-Abbiamo fatto le ero piccole ‘sta notte?-. Chiesi con finta voce severa.
- Daisy! Come stai? Come è andato il viaggio?-. La sorpresa sembrò risvegliarlo del tutto e l’irritazione era sparita dalla sua voce.
-Sto bene e il viaggio è andato alla grande. Ho dormito, come al solito.- Sorrisi senza sapere bene il perché.- E tu invece come stai?-. Gli chiesi.
-Abbastanza bene, però mi manchi piccola… senti un po’ non potevi aspettare qualche ora per chiamarmi?-
-Ehm…- risposi –scusami, non avevo intenzione di svegliarti è solo che sono le dieci passate. Pensavo che fossi già sveglio.-
Lo sentii ridere all’altro capo del telefono. E visto che potevo solo sentirlo me lo immaginai in quell’atto. Aveva la risata di un bambino, ingenua e pura.
- Hai ragione tesoro qui è l'una passata avrei dovuto alzarmi qualche ora fa ma proprio non ce l'ho fatta.-
-Perchè? Cos'hai combinato ieri sera?- ecco me n'ero andata da meno di un giorno e lui già faceva baldoria.
-Abbiamo portato Rick in ospedale...- Rick era il suo fratello minore.
-Cosa gli è successo?- chiesi ansiosa.
-Niente di grave non preoccuparti. E' solo che si è messo in testa di costruire una casa sull'albero e dato che mio padre non ha mai tempo ha pensato bene di iniziarla da solo. Così è caduto e si è rotto l'avambraccio in tre punti una delle quali esposta. Quindi siamo dovuti restare in ospedale fino alle tre di notte una vera rottura. Però indovina? Da domani mio padre inzierà a costruirgli quella stramaledetta casetta.-
Tirai un sospiro di solievo.- Beh almeno non è niente di grave.-
- E oggi cosa fai?-
Chiacchierammo per un’ora. Alla fine ci salutammo con un “ci sentiamo presto, mi manchi”.
Scesi per preparare il pranzo che io e la nonna consumammo in silenzio. Il nostro rapporto era così. Appena arrivavo da Detroit ci raccontavamo tutto poi nei giorni seguenti ci limitavamo a un “buongiorno” o “come è andata oggi?”… tutto qui. E’ per questo che non mi piacevano le vacanze estive, il rapporto con la nonna che in teoria avrebbe dovuto saldarsi si congelava.
-Cosa fai oggi pomeriggio?-
-Vado all'Arnold con Gale. Poi probabilmente ci mangeremo una pizza alla piccola Italia.- alzai lo sguardo e guardai mia nonna negli occhi -Non ti dispiace vero che sto fuori tutto il pomeriggio?- era una domanda retorica perché in realtà conoscevo già la risposta.
Mi sorrise da sopra il suo piatto –Ma certo che no cara. Tra l’altro stasera devo andare al club del libro, quindi non sarò certo di compagnia. Vai pure e divertiti.-
Finito di mangiare pulimmo i piatti lei andò a riposarsi mentre io andavo in salotto a guardare un po’ di tv…che spensi dopo cinque minuti vedendo che non offriva niente di meglio di programmi di “dieta per i tuoi animali soprappeso”. Assurdo avevano inventato pure delle pastiglie dimagranti per gli animali. Il superficialità della società era arrivato al culmine.
Decisi di recuperare il libro che stavo leggendo in quel periodo, e di piazzarmi in pergolato a leggere fino alle quattro. Ma non lessi molto, anzi non lessi per niente. Il rumore delle onde, il sole, il caldo e il profumo della brezza erano inebrianti e mi addormentai nel giro di qualche minuto.
Mi risvegliai qualche ora dopo quando sentii una mano che mi scuoteva delicatamente.
Mi alzai a sedere di scatto turbata dal sentore del sogno che avevo fatto. Non me lo ricordavo con precisione era più che altro il vago ricordo di qualcosa appartenente al passato.
-Ben svegliata Bella Addormentata!- il viso sorridente di Gale era sopra al mio –Che fai? Prima mi inviti a uscire e poi ti addormenti in mia attesa? Devo sentirmi offeso nella mia virilità per caso? Sei la prima ragazza al mondo che non si mangia le unghie dal nervosismo prima di uscire con me ad un appuntamento!-.
Gli sorrisi di rimando –Tranquillo la tua virilità è perfetta e decisamente attraente come al solito. E’ la tua modestia che ha bisogno di qualche ritocco- scoppiò a ridere e poco ci mancava che non cadesse dalla sedia.
-Hai la lingua lunga e tagliente come al solito cugina! Adesso ho capito perché non hai mai trovato un ragazzo prima di Gas-
Gli tirai il cuscino addosso e corsi in casa per prendere la borsetta e darmi una sistemata ai capelli. Meno di un quarto d’ora dopo eravamo già arrivati al chaos che stava aprendo proprio in quel momento. Vidi il signor Morris e mi avvicinai, con Gale alle calcagna, per salutarlo.
-Signor Morris!-
Il signore in questione si voltò con aria sorpresa e vedendomi il suo faccione largo si illuminò di un
sorriso facendo tremolare gli enormi baffoni che aveva sul labbro superiore.
- Daisy! Come stai? Che bello rivederti!-.
Diedi una mano ad aprire mentre Gale chiacchierava con un barista amico suo.
-Allora come vanno gli affari?- chiesi.
-Benone! Ricordi che l’anno scorso avevo chiesto il permesso per far diventare L'Arnold un pub? Bhè quest’anno ci sono riuscito! Il 20 aprile è diventato ufficialmente un pub!-
-Ehi questa si che è una bella notizia!-
Continuammo a parlare e nel frattempo ci accordammo sui miei turni di lavoro. Cinque sere la settimana compresi il sabato e la domenica  più due pomeriggi. Era andata bene.
E per concludere in bellezza incontrai Josie. Io e Gale eravamo andati al parco a fare un giro e lei era seduta all’ombra di un albero a leggere. Pensai che non era cambiata per niente. Solo i capelli erano più lunghi, adesso le scendevano oltre i fianchi  mentre l’ultima volta che li avevo visti le arrivavano a metà schiena.
Ciao Josie.- Le dissi avvicinandomi.
Alzò lo sguardo e cacciò un grido di felicità – Oh mio dio!Daisy!- e mi saltò addosso buttandomi le braccia al collo. – Che bello rivederti!-
Si! È bello rivedere anche te. Come stai?-
Io sto bene. Ma non parliamo di me tu come stai?-
Bene sono arrivata ieri sera e…-
Gale mi ha detto che ti sei trovata il fidanzato- mi interruppe.
Lanciai un’occhiataccia a mio cugino che mi sorrise in modo impertinente – Ma davvero?- le risposi – Gale ha sempre avuto la lingua troppo lunga.-
Scoppiò a ridere diede un bacio sulle labbra a Gale, che mi lanciò un occhiata imbarazzato e  lasciando me totalmente sorpresa. Vedendo la mia espressione, da ebete probabilmente, Josie alzò un sopracciglio e guardò prima me poi Gale.
Io e Gale stiamo insieme. Non… non te l’ha detto?-
Mi riscossi – No non me l’aveva detto.- poi sorrisi entrambi – Da quanto?-
Sei mesi tra cinque giorni- Josie sorrise orgogliosa.
Wow! Sono…sorpresa e… e felice. Cavolo Gale perché accidentaccio non me l’hai detto?-
Non sapevo come avresti reagito… non so- si strinse nelle spalle evidentemente sollevato.
Risi sommessamente – In qualunque modo avessi reagito, cugino caro, non sarebbero stati affari miei.-
Alla fine decidemmo di andare a mangiare una pizza tutti e tre insieme, ma man mano che la serata procedeva mi trovavo sempre più a disagio. Loro erano gentili e evitavano effusioni varie davanti a me; ma ciò non cambiava che quella sera stavo facendo da reggimoccolo.
In più tutto quell’affetto mi faceva sentire ulteriormente la mancanza di Gas.
Tornammo a casa presto, per le dieci, perché il giorno dopo Gale doveva lavorare. Riportammo a casa per  prima Josie. Ci demmo la buona notte e risalii in macchina in attesa che Gale finisse di salutarla. Dopo cinque minuti di attesa mi stufai e diedi un colpo di clacson per ricordargli che aveva anche una cugina.
Accidenti che saluto!- esclamai quando salì in macchina –se quello era il bacio della buona notte non voglio immaginare come sarebbe quello di addio…- mi lanciò un occhiataccia ma non disse niente.
Dopo qualche minuto di silenzio parlò – Scusami.-
Lo guardai stupita –E per cosa ti dovrei scusare?-
Per non avertelo detto prima-
Effettivamente di quello sono dispiaciuta… ma non ti preoccupare ora lo so.-
Non volevo che lo sapessi così…-
Scoppiai a ridere – Guarda che non è finito il mondo in fondo lei è affare tuo, come pure la decisione di dirmelo o meno.-
Vedendo la mia reazione sorrise -Guarda che avevo intenzione di dirtelo prima o poi.-
Ma davvero? E quando per l’esattezza? Prima o dopo il matrimonio?-
Oh sicuramente prima! Sai come damigella d’onore saresti perfetta.-
Guarda che questi discorsi di solito li fanno le donne…-
E con questo cosa vorresti dire?-
Scherzammo per il resto del viaggio e prima di quanto mi aspettassi eravamo arrivati a casa della nonna. Lo salutai e entrai in casa.
Sul tavolo c’era un biglietto della nonna che diceva:

Daisy
Domani mattina esco presto per fare la spesa. Se non ci vediamo ti ho preparato le brioche alla marmellata le trovi nel forno devi solo scaldarle. Le foglie di the per gli infusi sono nel barattolo sopra la credenza. Fammi solo il favore di portare fuori per una passeggiata Peter domattina.
Baci la nonna.


Sorrisi. La dolce nonna che pensava sempre a me.
Peter era l’enorme pastore tedesco che amavo con tutto il cuore, aveva tre anni fui io a portarglielo in casa. Fu una sera di tre anni prima stavo tornando a casa dal lavoro e vidi la povera bestiola mezza morta di fame. All’epoca Peter era un cucciolo di appena qualche mese, semplicemente lo raccolsi e lo portai a casa. La nonna non disse nulla, si limitò a dargli da mangiare e a farlo dormire sul divano in salotto. Da allora si fanno compagnia a vicenda. Fui io a scegliergli il nome.
Peter come il cane che avevo quando ero piccola.
 Mi stiracchiai e andai in camera. Volevo leggere un po’ ma come quel pomeriggio non ci riuscii. Continuavo a pensare a mio cugino e alla mia amica, era la coppia più improbabile del mondo.
Josie era una ragazza estroversa, ma al contempo anche molto regolata. A scuola aveva la media perfetta, nella vita sociale aveva un sacco di ottime conoscenze per il futuro lavoro. Gale invece… bhè era Gale. Un ragazzo intelligente e bellissimo certo. Però piuttosto spericolato, non sapeva regolarsi. Rivedendola in questi termini però forse creavano una sorta di coppia perfetta, si equilibravano a vicenda . Cullata da quei pensieri mi addormentai.


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