lunedì 27 giugno 2011

Silver Moonlight 18°capitolo

Il sottofondo delle auto di passaggio nella vicina superstrada era poco più di un noioso ronzio, unico indizio che lasciasse intendere di essere ancora vicino alla civiltà.

L'aria greve di umidità lasciava uno strato bagnato sul viso di lyla che a fatica procedeva negli stetti spazi fra un tronco e l'altro.

Aveva già messo in previsione una caduta in avanti stile pesce lesso, la coordinazione degli arti era sempre una questione difficile quando si faceva la gimcana nella foresta.

Dopo poco più di sessanta metri alla sua sinistra, la macchia di alberi si diradava abbastanza da creare una piccola radura che si affacciava sullo specchio d'acqua ghiacciata.

La vista le tolse il fiato.

Ogni cosa era ricoperta di bianco: il lago, gli alberi le cime delle montagne più alte; perfino il cielo pareva più chiaro di come appariva normalmente. Era spettacolare, l'avrebbe senza dubbio dipinta su uno dei sassi più grossi.

La spiaggia del paradiso, ecco come l'avrebbe intitolata. Un nome semplicemente perfetto.


Quando ebbe raccolto abbastanza rocce, la borsa pesava un quintale o almeno lyla credeva che fosse cosi.

Il suo fisico era minuto ma ben proporzionato, non certo una campionessa del mondo di pesi massimi, avrebbe faticato non poco nel ritorno a casa.

L'odissea del ritorno avrebbe aspettato, al diavolo, se la meritava una pausa dopo la commissione da francis. Ma sarebbe stato meglio non dilungarsi troppo a lungo o questa volta a lamentarsi sarebbe stato Joseph.

Quello non era un tipico lago, certo, gli alberi c'erano, l'acqua pure e il contorno delle montagne da cartolina anche, ma quello che mancava era una vera e propria riva. Per cui lyla dovette sedersi tra i sassi ghiacciati nella parte più a sud, quella più vicina alla cittadina.

Era il luogo dove era nata, ma non smetteva mai di sorprendersi della maestosità di quello che vedeva.

L'acqua azzurro pastello cosi particolare a causa del ghiacciaio da cui veniva, il verde profondo e avvolgente dei pini che ricoprivano completamente ogni centimetro libero di terra; e l'aria. Oh l'aria li aveva un profumo come da nessun'altra parte. Un misto di terra umida, ghiaccio e resina. Il profumo di casa.

Cullata dai dagli odori rassicuranti di lake louise lyla, cedette alle volute nebulose del sonno abbandonandosi completamente al letto roccioso su cui si era distesa. Lo scricchiolio degli alberi addormentati nella morte apparente dell'inverno e il frusciare degli animali selvatici in cerca di cibo furono la sua ninnananna. Le palpebre divennero pensanti come macigni e tenere aperti gli occhi divenne un'impresa impossibile.

Cedette al sonno vagamente consapevole, che quella non sarebbe stata una buona idea.


La prima cosa che notò quando aprì gli occhi fu il freddo che sentiva fin dentro le ossa poi il dolore. Poi il cielo.

Qualcosa non andava.

Il cielo sopra di lei era troppo scuro anche per una giornata nevosa come quella e il freddo da pungente si era fatto quasi insopportabile.

I brividi che l'avevano svegliata la squassavano violentemente facendole battere i denti cosi forte da temere che si rompessero da un momento all'altro.

Quasi a volerla aiutare a capire, le nuvole si aprirono quel tanto che bastava a lasciare intravedere un piccolo pezzetto di cielo sereno. Piccoli puntini luminosi e splendenti cominciavano a popolare la volta celeste.

Puntini luminosi? Stelle!? Per quanto aveva dormito?

Facendo un calcolo approssimativo, dovevano essere passate non meno di quattro ore, l'orologio da polso bianco confermò l'ovvio. Erano le cinque del pomeriggio passate.

Doveva tornare a casa. Subito. Non osava immaginare la testa che le avrebbero fatto saraphine e joseph una volta che fosse entrata dalla porta di casa.

Appoggiando entrambi i polsi sui sassi scivolosi cercò di mettersi seduta, ma il dolore le che le pulsava era terribile, si diffondeva dalla clavicola destra in giù, lungo il braccio.

  • ouch. Ma che cavolo...-

tastandosi istintivamente il punto che le doleva, ritrasse la mano quando sentì il tessuto della giacca strappato. Qualcosa di vischioso e freddo le ricopriva le dita. L'istinto la mise in allarme facendo ridestare quella sensazione di ansia opprimente che solo per qualche ora aveva accantonato. Come guidata da una mano invisibile si portò le dita al naso. Un forte odore metallico le risalì lungo il naso. Quando capì che quello era il suo stesso sangue per poco non si sentì male.

Il rumore di un ramo spezzato attirò la sua attenzione.

Con il panico già a mille che le scorreva nelle vene assieme ad una scarica di adrenalina si mise finalmente in piedi.

Era certa che solo lei conoscesse quel posto o almeno, che solo lei avesse interesse a spingersi cosi avanti nel bosco. Era un luogo lontano dai normali percorsi turistici dove le guide portavano i turisti ad ammirare la bellezza della natura della valle.

Ma di rado accadeva anche che le guardie forestali dovessero andare a recuperare qualche gruppo di ragazzi che, curiosi di provare l'ebbrezza di visitare da soli i boschi senza l'aiuto di una guida esperta, finivano per perdersi. Chiamavano poi in preda al panico la polizia che andava a riprenderli.

Un altro rumore indefinito, lyla non sapeva se fosse di animale o di altro, veniva questa volta dalle sue spalle.

-hey?! C'è nessuno?-

solo il respiro profondo e selvaggio della foresta rispose alla sua domanda.

Quando il telefonino squillò diffondendo eye of the tiger dei survivor lyla temette di aver perso come minimo dieci di anni di vita per lo spavento. Con mani tremanti aprì la borsa e rispose, cercando di tenere la voce ferma.

-LYLA SIMONE EMRYS!-

ouch, erano anni che non sentiva pronunciare il suo nome per intero. Per la precisione da quando aveva compiuto diciotto anni ed era diventata maggiorenne.

  • ciao zietto-

  • oh adesso siamo passati a zietto? Hai idea di quanto mi sia spaventato? Sono ORE che cerco di rintracciarti, ORE! Ho chiamato francis-

se aveva chiamato il vecchio, doveva essersi davvero preoccupato.

Una fitta di rimorso la colpì nell'orgoglio.

-e non rispondevi nemmeno al cellulare ho chiamato otto volte! Lyla, sul serio. Che ti prende? È tutto il giorno che ti comporti in modo strano. Se c'è qualche problema lo sai che me ne puoi parlare-

accidenti ai sensi di colpa.

  • no joseph. Non è successo niente, davvero.-

quante volte l'aveva già ripetuto quel giorno? Sperava che non avrebbe dovuto farlo di nuovo.

  • ho lasciato la borsa dietro ad un albero quando sono andata verso nord, e mi era d'impiccio, cosi me l'ho lasciata li. scusami se ti ho fatto preoccupare.-

e lo pensava davvero. Era giornata strana, ma non doveva far ricadere le sue paranoie sugli altri, non era giusto.

  • va bene bambina.-

il tono dello zio pareva essersi disteso e rilassato. La preoccupazione non incideva più sul suo tono di voce.

-vai direttamente a casa. Alla chiusura del negozio ci penso io ok?-

-ok. Scusami ancora zio.-

-basta scuse. È tutto risolto tesoro. A dopo.-

  • a dopo.-

rimise il telefono nella borsa e fece un grosso sospiro cercando di rilassare le spalle.

  • e ora torniamo a casa lyl.-

stare nei boschi senza altra luce che quella della luna argentea, non era consigliabile neanche a chi era esperto o chi era nativo del luogo.

Girò le spalle allo specchio d'acqua che ora cominciava a diventare nero mano a mano che la luce del sole lasciava la valle.

Dio sperava che quella giornata finisse in fretta ma ancora non sapeva quanto si stesse sbagliando.

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